“Magna la ciccetta a nonna tua” è una frase che la mia nonna paterna citava costantemente; d’altronde senza la carne non si cresceva, non si diventava forti e intelligenti! Per tutta la mia infanzia non ricordo pasto senza la “ciccetta” da finire prima di poter tornare a giocare.
Oggi mangio poca carne, sia perché non ho più nonna a spingermi amorosamente a consumarla, sia perché inizio ad avere delle remore di natura etica per il modo in cui molti animali vengono allevati e soprattutto per il costo, a mio avviso eccessivamente contenuto, di una materia che deriva da un essere vivente.
La carne, alimento anticamente caro e nobile, è sempre stato religiosamente riverito dai romani, se ne mangiava poca e in occasioni speciali.
L’utilizzo della carne di manzo è relativamente recente perché prima il bue serviva a tirare l’aratro. Quando l’allevamento venne esteso era quasi unicamente per i benestanti, il popolino utilizzava principalmente i tagli meno pregiati del quinto quarto. L’utilizzo delle frattaglie e delle interiora era così comune che si “affibbiavano” soprannomi agli abitanti dei rioni con il tipo di interiora prescelto; così abbiamo, ad esempio, i “trasteverini magna ventricelli” o gli abitanti del rione Regola “magnacode”.
Più comune era l’allevamento e la vendita della carne ovina. Le ricette con l’uso dell’abbacchio sono centinaia. Gli abbacchi venivano selezionati in base al tipo di pascolo, al sesso o alla stagione di nascita, tanto che detti romaneschi recitano: “Ogni agnello ar su’ macello” oppure “Moreno ppiù agnelli che ppecore”. Il consumo quindi non era confinato al solo periodo pasquale.
Discorso simile vale anche per il maiale: animale domestico che appariva più di frequente sulle tavole degli antichi e che rimane comune anche dopo la caduta dell’impero fino ad assurgere a mito gastronomico con la ricetta della Porchetta dei Castelli.
Le ricette che riporto sono in parte della tradizione e in parte di famiglia. Della tradizione romana ce ne sono alcune di mia Nonna Violetta e di mia Nonna Irene che, da brava massaia, sapevano realizzare ottime pietanze anche con i tagli meno nobili. Di mia mamma ho invece conservato le ricette della cucina italiana classica, come gli arrosti, adatti ai pranzi domenicali e alle cene di rappresentanza.